Come sto?

Da tempo mi dedico alla sensibilizzazione delle persone sul tema del “Come stai?”. Una domanda così banale e così utilizzata all’inizio delle frasi che mi ha spinta a chiedermi se dietro quelle 8 lettere ci fosse davvero un contenuto a rappresentarle. Ogni telefonata, incontro, messaggio o conversazione inizia quasi sempre con la domanda di rito “Come stai?”. Le risposte sono spesso uguali alla domanda, rituali senza contenuto. Cambiano solo le lettere utilizzate in sequenza. “Bene”, “Abbastanza”, “Insomma”, “Benissimo grazie”, “Mah”, “Così così”, ” Ce la facciano andare” “Da poveri vecchi”,… e chi più ne ha più ne metta. Da lì la conversazione prende piede e nella stragrande maggioranza delle volte non ha nulla a che fare con lo stato d’animo del momento degli interlocutori. La prima domanda che mi sorge spontanea è: perchè porre la domanda se ad entrambi non interessa la risposta? Credo si tratti di protocollo, abitudine, finta educazione, raramente di vero interesse e consapevolezza della frase formulata.

La verità è che quella domanda apre un mondo enorme al quale pochi sono pronti. Il mondo delle emozioni, quello sconosciuto, quell’innominato, quel giardino di colori così talvolta inopportuni che è meglio né vedere, né tantomeno portare all’esterno. Fortunatamente talvolta c’è il corpo che ci fa da schermo, che ci consente di dire che abbiamo la febbre, mal di pancia, dolore ad una spalla, la schiena bloccata, l’artrosi, l’artrite, la dermatite…anzi no, la dermatite è già qualcosa di cui non parlare a tutti, potrebbe dare l’impressione di essere sporchi. Così come non si parla di costipazione, cistite, prostatite, flatulenza, emorroidi o tutto ciò che si preferisce evitare di pronunciare per non sentire vergogna. Rispondere con un sintomo fisico opportuno, mette a tacere la tanto temuta domanda. In realtà il corpo parla per noi, racconta delle nostre emozioni bloccate che si manifestano magari in un mal di stomaco, ma è più facile vedere la fase finale del processo che individuarne l’origine. Anche perchè, anche se individuassi l’emozione scatenante, cosa potrei farne? Molto più facile prendere o consigliare un farmaco antiacido che risolve tutto. O quasi.

È chiaro che ognuno ha un’intimità che deve proteggere e non necessariamente condividere con tutti, così come è evidente che non tutti debbano per forza essere interessati al nostro stato d’animo o alla nostra reale salute fisica, ma qui nasce la seconda considerazione.

Non lo raccontiamo perchè non lo vogliamo condividere o perchè pensiamo che non interessi, che cambierebbe l’immagine che l’altro avrebbe di noi o, ancor peggio, perchè l’interlocutore potrebbe usarlo contro di noi? O, ancora prima, non è forse che non lo raccontiamo perchè in realtà nemmeno noi lo sappiamo?

Alzarsi la mattina e chiedersi “Come sto’?” è quasi un atto sovversivo, che implica una risposta che richiede tempo e consapevolezza per essere formulata. E la mattina tempo non ce n’è! Devo correre al lavoro, rifare il letto, fare colazione, leggere le notizie, guardare se i like sono aumentati, sbirciare cosa succede a casa dei vicini e magari progettare cosa farò questa sera, nel week end o le prossime vacanze. Ma, come faccio a sapere cosa mangiare, se non so se ho fame? Come faccio a progettare la sera se non so come sto la mattina? Come faccio a relazionarmi con altre persone se non ho chiaro quale sia il mio stato d’animo attuale? Ed è così che si va oltre, il mondo del fare mette un piede in testa al mondo del sentire, le azioni si omologano, così non ti devi nemmeno chiedere cosa vuoi, basta fare ciò che devi, che gli altri fanno o che hai fatto ieri, va bene così.

Rispondere alla domanda “Come sto?” prevede silenzio, ascolto e tempo. Prevede anche accettazione, perchè talvolta la risposta non ci piace. E poi, una volta che la risposta è chiara, cosa ne faccio? Come agisco di conseguenza? Devo cambiare le mie abitudini?

Oggettivamente, la cosa si fa complicata. Il mondo delle emozioni lascia spesso disarmati, proprio perchè parla un linguaggio un po’ sconosciuto, reputato spesso di serie b e talvolta pericoloso per la riuscita e il successo nel quotidiano.

Dimentichiamo però che le più grandi opere d’arte sono state eseguite con stati d’animo amplificati, in stati di trance creativa, le poesie sono emozioni in versi, i film raccontano storie in grado scatenare l’immaginazione attraverso le emozioni, l’architettura, la scultura, la pittura sono emozioni divenute tangibili. Ma allora perchè accantonare quella domanda che potrebbe fare la differenza?

Credo che nell’immaginario collettivo ci sia la profonda convinzione che si dovrebbe sempre stare bene e che tutto ciò che si discosta da quel bene sia difetto, errore, rallentamento, imperfezione, e quindi meglio non vedere. Se non vedo, non esiste.Vogliamo esseri efficienti, produttivi, sorridenti, utili.

Tutto ciò è possibile? Sì, ma anche no.

Chiedersi “Come sto?” , ascoltare cosa davvero sento, dargli un nome, è atto di consapevolezza e accettazione. Comunicarlo è atto di fiducia. Accoglierlo è atto di responsabilità. Tutto ciò prevede verità, una verità in cui non siamo sempre felici, non sempre performanti, non sempre disponibili, non sempre perfetti. Una verità che lascia spazio ad altri mondi, diversi dal nostro, dal desiderato, dal vivamente consigliato e dal politicamente corretto.

Non è forse vero che spesso teniamo per noi le nostre parti “nere” e condividiamo con gli altri solo quelle “bianche”? Che nei social network condividiamo solo i successi e non i fallimenti? Che cerchiamo su internet soluzioni a problemi senza curarci di chi quei problemi non è riuscito mai a risolverli? Non è forse vero che vorremmo essere SEMPRE felici?

La buona notizia è che si può essere felici, la cattiva è che non si può esserlo sempre. La buona notizia è che la tristezza passa, la cattiva è che tornerà. La buona notizia è soprattutto che dalla tristezza nasce la felicità e che dai momenti difficili si impara molto di più che da quelli semplici.

L’altra buona notizia è che sapere come sto mi può aiutare ad affrontare la giornata con maggiore presenza, autenticità, consapevolezza e maggiori armi da utilizzare per performare, la cattiva è che, purtroppo, a pochi interessa realmente come sto.

E allora il mio monito è di ascoltarsi, e ascoltare, perchè a tutti fa bene essere ascoltati ed accettati, perché il mondo che viviamo sia più simile a noi che a dei modelli di noi disegnati dall’intelligenza artificiale, che le emozioni colorino le vostre giornate e quelle degli altri senza il timore che le sporchino e che impediscano il raggiungimento del risultato.

Nel groviglio di tutti quei colori c’è la vita, quella vera, quella dove nessuno deve far finta di essere qualcun ‘altro e dove ognuno può sentirsi unico e giusto. Nel miscuglio di bianco e nero c’è l’originalità di ognuno, e invece che rincorrere lo standard della perfezione si dovrebbe lasciarsi sorprendere dalla varietà delle opzioni a disposizione. In quell’arcobaleno ci sono le emozioni e il corpo che danzano assieme e che ogni giorno, che piova o ci sia il sole, sono lì per ricordarci che, comunque vada, va bene così.

Lisa De Bernardini