Diversi o Unici?

Spesso nel corso della mia vita mi sono sentita un pesce fuor d’acqua, caduta in un pianeta di cui riconoscevo a malapena l’odore del traffico cittadino e la bellezza del silenzio del mio appartamento. Capitava che uscissi con amici e invece che riuscire a godere della loro compagnia, dovessi far finta di divertirmi nel trovarmi in mezzo ad una quantità esagerata (per me) di persone che gridavano per potersi parlare. Tutti si divertivano, all’infuori di me, nonostante tutto sorridevo per sentirmi all’altezza e perchè, comunque, volevo esserci. Quando tutti attendevano la cena per godere di un buon bicchiere di vino io, nel mio, versavo acqua, e alla domanda “Ma come fai ad essere astemia? Ti perdi tutto il gusto e il divertimento dopo!”, mi sentivo inadatta a luogo e situazione. Purtroppo il vino e gli alcolici non sono mai riuscita a farmeli piacere. Spesso ho guardato le persone come attraverso un vetro che mi separava dal resto del mondo e mi sono sentita al tempo stesso sola e protetta. Quando tutti mi guardano con occhi compassionevoli di fronte alla mia scelta di abbandonare un lavoro che, dopo 20 anni, non mi emozionava più, per cercare di creare un’opportunità che più mi rappresenti, ma che mi costa rinunce economiche e mi obbliga al confronto con un mondo nuovo e divoratore, vorrei uno sguardo gentile e incoraggiante, piuttosto che sentirmi una mosca bianca, stravagante e pretenziosa. Per alcuni sono piccole cose, per altri pesi che si accumulano e impediscono di sentirsi al proprio posto.

Combatto col concetto di normalità fin da piccola, quando mio padre decideva a priori che certi amici non erano appropriati a me e io non comprendevo come lui, senza averli mai conosciuti, potesse esprimere un giudizio così limitante per me e al tempo stesso così tagliente nei loro confronti. Com’era l’amico “normale” che avrei dovuto frequentare e apprezzare? Ancora non lo so.

Discutendo con un mio giovane allievo, mi ha espresso la preoccupazione di essere circondato da coetanei che hanno deciso a priori il loro futuro sulla base di un percorso definito normale, accettabile, riconosciuto, apprezzato e appagante dalla maggior parte delle persone che lo circondano. La percezione di vedere attorno a sè persone che posseggono molto, sia dal punto di vista materiale che lavorativo e, nonostante questo, non appaiono mai serene, ma soprattutto, mai completamente soddisfatte, gli ha fatto sorgere il dubbio che forse non sia quella la strada da intraprendere per affrontare una scelta. Il problema non sussisterebbe se, intraprendendo una strada diversa dalla maggioranza, lui non si sentisse diverso, messo in dubbio, al punto da essere definito sbagliato, e si ritrovasse solo a dover affrontare delle scelte che non sono semplici per nessuno, tantomeno ad un’età in cui l’esperienza non gioca il ruolo principale.

Quando affrontai l’esame di maturità, al termine dell’interrogazione veniva chiesto ad ognuno di noi studenti quale tipo di percorso avremmo intrapreso dopo il liceo. Dovetti accettare di essere guardata con occhio dubbioso e critico quando decisi di dire la verità e raccontare che mi sarei iscritta all’Isef ( Istituto Superiore di Educazione Fisica). Veniva ritenuto sprecato un percorso liceale non investito in carriera più prestigiosa, lo sport e il suo insegnamento erano considerati ad un livello inferiore rispetto alla carriera da avvocato, ingegnere, biologo o simili. Esisteva quindi una scelta normale che sentivo non fare che, a sua volta, mi faceva sentire decisamente diversa e ancora una volta sola. Nonostante tutto feci la mia strada, e, come preparatrice atletica girai il mondo nei più grossi tornei di tennis del mondo con un giocatore che ebbi l’onore di veder crescere. Quando decisi di lasciare il lavoro di gruppo per seguire solo il suo percorso, mi chiesero come potessi pensare di vivere allenando solo una persona, era estremamente rischioso. Lo era, ma ci riuscii, e anche bene. Tutto ciò chiedendomi sempre se fossi un po’ matta o solo molto sognatrice. Non tutti hanno il coraggio di osare, ma un incoraggiamento spesso farebbe spiccare il volo a molti talenti che rischiano di restare inespressi e generare insoddisfazione, frustrazione, fino a malattia.

Ho più volte parlato della diversità come discostamento dalla normalità sociale, e sempre più sono convinta che stiamo perdendo sempre più la capacità dell’ascolto, personale e altrui. I modelli sociali alzano l’asticella ogni giorno, tutti più belli, più magri, più ricchi, più sorridenti, più performanti, più veloci, più più più…Sono assolutamente dell’idea che la nostra esistenza dovrebbe essere dedicata al miglioramento del mondo che i nostri predecessori ci hanno lasciato, ma come migliorarlo se non conosciamo i nostri talenti? Quei talenti che dovremmo usare per metterli a servizio dello stesso mondo che vorremmo migliorare. E come conoscere i nostri talenti se non c’è dato tempo per scoprirli? E se scoprendoli fossero diversi dal programma già scritto come efficace, utile, corretto, socialmente accettabile e adatto ad un individuo della nostra età, sesso, provenienza, cultura e quant’altro? Perchè non sostenere il sogno, la specialità, il discostamento dalla massa, le scelte che fanno vibrare, le diversità.. se queste possono portare crescita e miglioramento? Perchè accorgersene sempre dopo, quando il successo arriva e tutti vogliono salire sulla barca, senza rendersi conto del prezzo che ha dovuto pagare chi ha dovuto crederci da solo, ma soprattutto quante persone sono rimaste indietro, solo perchè nessuno le ha sostenute e si sono sentite rifiutate? Quante persone si sentono obbligate tutti i giorni ad essere ciò che sentono non essere?

Se quella diversità che sentiamo di avere fosse unicità e, come tale, fosse riconosciuta e valorizzata, quel vetro che sentivo dividermi spesso dalle persone che mi circondavano non avrebbe più ragione di essere percepito da nessuno. Con i “se ” e i “ma” non si fa molta strada, nello sport l’ho sempre insegnato, ma se quel “se” fosse stimolo al cambiamento, alla scoperta di cosa potrei essere se ascolto la mia natura e la offro al mondo senza timore di essere giudicato sbagliato, allora mi sentirei unico e speciale, mi potrei concedere di Essere.

Collaboro da qualche anno con l’attuale Fondazione “Fiocchetto Lilla” che si occupa di DCA, malattie del comportamento alimentare. Senza entrare nel merito dell’aumentata incidenza della malattia a tal punto da essere stata definita epidemia, della sempre più tenera età in cui la malattia si manifesta e dell’enorme mancanza di cure e sostegno per chi ne soffre e per chi è loro vicino, ho capito che alla base c’è una grande mancanza: l’ascolto.

Difficoltà ad esprimersi, difficoltà ad ascoltarsi, mancanza di ascolto da parte di genitori, insegnanti, amici, conoscenti, società… un disagio che diventa malattia perchè manca il passaggio del riconoscimento. Un riconoscimento che renderebbe la diversità di ognuno una specialità, invece che uno stigma e un’esclusione. Avere un disagio non è polvere da nascondere sotto il tappeto, ma è responsabilità civica ascoltare chi cerca di manifestarlo, chi soffre perchè non riesce ad ad essere come crede che gli altri si aspettino che lui sia. Abbandoniamo per un po’ gli schemi prestabiliti della normalità della massa e apriamo gli occhi alla diversità e alla specialità individuale, valorizziamola, celebriamola!

Ragazzi di tutto il mondo imparate a guardarvi allo specchio, ad ascoltarvi e apprezzarvi, non perchè assomigliate a qualcuno o ad un modello accettato dai più, ma perchè dietro quell’immagine riflessa c’è una persona unica ed irripetibile. Accettate e apprezzate tutti i vostri colori, quelli che trovate negli altri e quelli che esistono solo dentro di voi e che vi renderanno artisti di opere uniche e rare. Imparate ad amare tutte le tonalità, quelle più scure e quelle più luminose, quelle che piacciono a tutti e quelle che piacciono solo a voi. Non guardate se rispondete ai canoni che vi chiedono, ma piuttosto se riuscite ad esprimere ciò che sentite corrispondervi di più e metterlo a servizio degli altri. Osate essere voi stessi. Non amate ciò che gli altri amano, ma imparate ad ascoltare cosa vi fa vibrare e a trasformatelo in un’opera d’arte unica, la vostra vita.

Lisa De Bernardini

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