
Quante volte vi è capitato di non provare esattamente l’emozione che vi attendevate da un evento? E quante volte chi vi stava vicino ha voluto “insegnarvi” quale sarebbe stata l’emozione più appropriata?
Mi è capitato recentemente di assistere alla promozione lavorativa di una persona a me molto cara e di vivere delle emozioni estremamente discordanti al riguardo. Alcune erano assolutamente in linea con le aspettative sociali, altre diametralmente opposte, motivo per cui non mi sono sentita libera di condividerle tutte. Dopo un iniziale senso di colpa per provare sentimenti “inadeguati” ho cercato di comprenderne la motivazione. Era come se potessi scindere Lisa in almeno 2 o 3 Lise diverse, ognuna con un sentimento differente e ognuna estremamente coerente con sè stessa. Peccato che allo specchio ce ne fosse solo una e tutte queste emozioni frullavano nella mia testa e si appoggiavano nel mio corpo in maniera disconnessa e assolutamente imprevedibile.

Ho provato a parlarne con delle persone accanto a me e ho notato che la reazione comune era esattamente quella che io ritenevo la più opportuna, quella che io in parte provavo, di felicità per il successo e per l’ascesa in carriera, per l’aumento di stipendio e per il riconoscimento delle capacità. Tutto giusto direi. Quella promozione per me voleva dire tante altre cose. Un progetto che sarebbe slittato, una convivenza che sarebbe stata rimandata, una paura che si era avverata, una nuova dinamica da costruire, una gestione del tempo che sarebbe cambiata. Tutto ciò provocava in me, oltre alla grande soddisfazione per l’altra persona, un misto tra delusione, sconforto, nervosismo, tristezza e paura.
Ho cominciato ad ascoltare quale fosse il peso specifico di ogni emozione e mi sono resa conto che variava a seconda di come guardavo la situazione, ma soprattutto che cambiava a seconda del momento, senza che io ne potessi avere il controllo, nemmeno in minima parte. Una cosa era sicura, c’erano emozioni che potevo condividere e altre che era meglio tenere per me.

Ho provato a condividere la parte “negativa” con una persona e la risposta è stata esattamente quella che mi aspettavo: ” Devi essere felice per lui, è una grande opportunità!” Lo sapevo, lo so, l’ho sempre saputo, ma perchè mi sento cosi? Sarei falsa se dicessi di essere solo felice, eppure il mondo mi dice che devo essere solo così. È forse allora che ci sono emozioni buone e cattive, giuste e sbagliate? E come fare per non provare quelle “sbagliate”? Un bel problema!
La mia soluzione è stata di lasciare correre l’acqua del fiume, lasciare che tutte le gocce, quelle pulite e quelle un po’ più sporche cosi come le più torbide potessero scorrere assieme attraversandomi e io sono rimasta ferma a lasciarmi bagnare. Da tempo ho intrapreso un cammino di accettazione di tutti i miei lati, quelli che amo di più e quelli che un tempo tentavo di ignorare. Quelli che il mondo ama e quelli che vorrebbe non ci fossero. Come far finta non ci sia un pezzo di me? Sono giunta alla conclusione che sia impossibile e che lo sforzo di provare a far finta di essere diversi non sia sufficientemente utile ad alcun risultato.

Accanto alla presa di coscienza di vivere emozioni discordanti è cresciuta anche la consapevolezza che ogni persona accanto a me probabilmente non manifesta tutto ciò che sente e da qui è nata la domanda successiva: “Conosco realmente chi mi sta a fianco?” ” Ciò che vedo è ciò che è più opportuno condividere o la sincera totalità della persona?” Con amarezza constato sempre più frequentemente che per ogni situazione c’è un comportamento opportuno, ritenuto utile, giusto, accettabile e adeguato e che la tendenza della massa è di adeguarsi a ciò per apparire sempre al massimo delle proprie potenzialità. Immagini di persone felici che si allenano in palestra con corpi scolpiti e abiti intonsi pubblicizzano il piacere immenso di una seduta di cross fit e chi, per caso, si sentisse un po’ meno motivato, sovrappeso, non sufficientemente griffato, o trovasse tutto ciò non proprio adeguato alle proprie inclinazioni dovrebbe comunque sorridere e far finta di divertirsi per poter sentirsi “giusto”.

Il “Devi essere felice” credo sia il peggior incentivo alla vera felicità, il modo peggiore per imparare ad ascoltarsi e, conseguentemente, ad esprimersi, il grosso limite tra l’essere e l’apparire. Dover provare un’emozione è un compito decisamente arduo, ancor più arduo che nasconderla. Scegliere tra diventare dei robot o dei mentitori non è una buona prospettiva, diverso è accettare le proprie emozioni e imparare a conviverci tenendo conto delle emozioni altrui. Un piccolo esempio: davanti ad una persona felice per il raggiungimento di una risultato molto ambito, chi provasse tristezza nel non aver conseguito lo stesso traguardo, potrebbe congratularsi in un primo momento e condividere in un secondo tempo la propria frustrazione. Questo implica individuare i buoni momenti, ma non necessita sentirsi sbagliati per le emozioni provate. C’è una bella differenza. Significa autorizzarsi ad esistere esattamente come siamo, accorgerci dell’esistenza emotiva di chi ci sta vicino e accettare la diversità e l’unicità allo stesso tempo.
Il mio invito è di ascoltare le proprie emozioni, non sentirsi in dover di essere nulla se non ciò che si è realmente, aprire il cuore a chi ci sta accanto nell’ascolto delle emozioni altrui e lavorare perché le emozioni più pesanti lascino spazio a quelle più leggere, in modo da poter approfittare della vita piuttosto che spenderla nel tentativo di essere qualcuno che non si è.
Lisa De Bernardini