
La società occidentale premia l’impegno, la resilienza, il sacrificio, ma soprattutto il risultato. La corsa al superamento del limite è il “diktat” quotidiano e chi si ferma è perduto. Scendere dal treno in corsa è estremamente pericoloso, oltre a farsi del male, il rischio che il treno successivo non abbia posti a disposizione è molto alto. Tutto ciò genera una motivazione sempre più alta a non perdere nemmeno un centimetro rispetto agli altri e a sfruttare ogni attimo per cercare di eccellere. I social network, le pubblicità, mostrano la facilità del risultato, sponsorizzano prodotti che accelerano la performance, inquadrano volti felici, sorrisi sgargianti e ambienti ridondanti di oggetti costosi che “facilitano” il compito e permettono di eseguirne molteplici allo stesso tempo. Tutto ciò nell’ottica del raggiungimento di obiettivi sempre maggiori. Inconsapevolmente o no incitano alla competizione, al “mors tua vita mea”, perchè chi prima arriva meglio alloggia, allo sforzo ad ogni costo (quale costo?) e all’importanza del risultato senza chiedersi se realmente il risultato ci sia utile o meno. In poche parole la competizione ci fa apprezzare il risultato conseguito per il solo fatto di esserci riusciti piuttosto che per aver amato il percorso svolto per raggiungerlo.

L’Istituto Superiore della Sanità riporta che alla fine del 2023 6 persone su 100 soffrivano di depressione. Il 39% dei giovani soffriva di ansia o depressione e 1 su 7 dei giovani tra i 10 e 19 anni conviveva con un disturbo diagnosticato. È evidente che le cause sono varie e sicuramente non applicabili a tutti, che nel passato la depressione non era nemmeno considerata una malattia (anche se ancora oggi si fatica riconoscerla come tale) e che quindi, probabilmente, anche se non diagnosticata, era già presente, ma la quantità di giovani che non si sentono pronti ad affrontare questa vita in maniera sorridente ed entusiasta è davvero preoccupante. Aggiungerei che dalla depressione e dagli squilibri emotivi possono svilupparsi poi tutta una serie di malattie, tra le quali, tra le più diffuse, troviamo le malattie del comportamento alimentare, la cui incidenza è vertiginosamente aumentata negli ultimi dieci anni.
È immaginabile che questi dati siano correlati con la sempre più esigente richiesta di performance in tutti i settori e un’incapacità di soddisfarla con conseguente eccessivo stress psicofisico ed evitamento del confronto per non scontrarsi con l’insuccesso? I nostri nonni direbbero: “Lavora e pedala, poche storie!”..ma credo che non sia solo un problema di volontà. Penso piuttosto che, nonostante la competizione faccia parte della storia dell’umanità, ad oggi la rincorsa alla costante presenza perfetta sia davvero esagerata rispetto alle possibilità del singolo individuo e dimentichi totalmente la sua unicità. Chiediamo a tutti la stessa prestazione senza tener conto di chi abbiamo davanti.

Io stessa 13 anni fa ho sofferto di depressione come conseguenza ad un burn out totalmente inconsapevole e non riconosciuto. Ero donna, moglie, madre e allenatrice e il prendi 4 paghi 1 mi è costato parecchio caro. La mia educazione mi ha insegnato a chiedere sempre il meglio da ciò che faccio, a cercare di migliorare quotidianamente, a essere sempre disponibile per chi mi sta attorno e ad avere sotto controllo ciò che sto facendo, cercando di prevedere e anticipare le possibili conseguenze negative per ottimizzare al meglio il risultato delle mie azioni. Tutto perfetto direi, se non per un piccolo, ma determinante particolare. Quando la richiesta supera l’offerta, la macchina si inceppa! Quando, dopo 7 anni dalla mia esplosione, mi rivolsi ad una psicologa per essere aiutata a comprendere, lei mi disse che avevo fatto troppo. La mia risposta fu immediata: “Non è mai troppo quando si fa per gli altri!” Anche la sua risposta fu altrettanto repentina: “Non è mai troppo finché se ne ha da dare, ma se lei non ha nulla per sè come può pensare di dare agli altri?” Mi ci vollero mesi per comprendere a pieno, ma soprattutto per accettare. Mi ci volle più tempo per modificare i miei comportamenti e le richieste nei miei confronti. Ora ho imparato ad ascoltarmi, tararmi, pormi le giuste domande e accettare le risposte. Volevo essere una mamma perfetta, sempre presente e a disposizione, una moglie ineccepibile che si prendeva cura di tutte le difficoltà del marito, un allenatore vincente, che lavorava più degli altri e, girando il mondo, migliorava sempre più le proprie competenze. Dimenticai Lisa, la parte che avrebbe dovuto sostenere tutte le altre 3, ma che nella ricerca di essere sempre al “top” fu quella che esplose come un vaso colmo senza vie di fuga e si ruppe in mille pezzi.

Per natura la vita dell’essere umano è regolata da un ritmo circadiano sonno veglia, e da uno circannuale scandito dall’alternarsi delle stagioni. La natura ci insegna che per raccogliere un frutto bisogna preparare un terreno, seminare, attendere i germogli, i fiori e solo alla fine raccogliere i frutti. Nessun terreno produce frutti in continuazione, cosi come nessun essere umano potrebbe stare sempre sveglio. Piacerebbe a quasi tutti fosse sempre estate!
Essere sempre al top, prestanti, attivi, al massimo della nostra forma è paragonabile alla richiesta di stare svegli una settimana di fila. Per far ciò saremmo costretti a bere quantità innumerevoli di caffeina ed essere continuamente sollecitati da stimoli che tengano alta la nostra attenzione in modo da non soprassedere al sonno. Tutto ciò comporterebbe un dispendio di energie decisamente superiore alle nostre disponibilità con una grande probabilità di insuccesso. Il successo sarebbe per pochi, cosa che porterebbe la maggioranza allo sconforto e ad un notevole abbassamento dell’autostima. In realtà non sarebbe demerito loro, ma una richiesta eccessiva rispetto alla disponibilità. Oltretutto la possibilità di esplodere sarebbe altissima con conseguenti strascichi sulla nostra salute futura, sia fisica che psichica.
Ogni risultato va scelto, preparato, costruito, celebrato, lasciato riposare, compreso e vissuto, solo così prende senso e valore e per ognuno il tempo necessario è diverso. Diversamente sarebbe una mera collezione di figurine, senza nulla togliere alle figurine.

Il lato positivo è che nella rincorsa alla magnificenza la specie si evolve sempre più prestante, resistente, performante, ma a mio parere il prezzo sta diventando troppo caro. Aggiungo che oggi il risultato avviene spesso a discapito di qualcun’altro in un modo che sta superando i limiti dell’accettabile. Per avere una ragazza si uccide il competitor, per avere una macchina si ruba ai genitori, per essere più belli ci si sottopone a innumerevoli interventi chirurgici con conseguente assunzione di farmaci, per vincere una gara ci si droga, per avere più soldi si truffa, per sembrare sempre felici si mente. Si deve avere sempre di più, essere sempre di più, volere sempre di più e così la ruota gira, ma il criceto siamo noi.

La corsa al risultato nuda e pura ha molti risvolti negativi che possono precludere la salute. Il corpo che ci trasporta nel mondo è una macchina incredibilmente intelligente, adattabile e performante, ma, a differenza di un’auto, oltre alla benzina e ad una buona manutenzione, necessita anche di un nutrimento intellettuale e di un assecondamento emozionale che differisce da individuo e individuo. Per quanto l’evoluzione ha migliorato le prestazioni trovo che la tecnologia sia andata molto più veloce del nostro corpo e che spesso, ultimamente, le richieste di velocità di prestazione, non rispecchino la possibile velocità a disposizione. Aggiungerei che il risultato di per sè è inutile se non accompagnato da un piacere nel raggiungerlo, il piacere che rimane tale a prescindere dal suo perseguimento. Dico inutile perchè il piacere di raggiungerlo è talmente breve e circoscritto al momento, che prevede la necessità di stabilire immediatamente un altro obiettivo per poter beneficiare di un altro attimo di piacere, ed è qui che il fattore velocità prende connotazioni malsane. Il tempo e le energie necessarie al raggiungimento sono spesso esagerati ed estremamente dispendiosi, il che significa che alla fine del percorso, comunque vada, la fatica si fa sentire. Se quest’ultima è supportata dal piacere della stessa il dispendio psicofisico sarà minore e il raggiungimento o meno del risultato risulteranno meno faticosi, ma se la fatica è eccessiva il rischio di insorgenza di patologie, l’indebolimento del sistema immunitario, le infiammazioni croniche e il prosciugamento delle energie vitali creeranno un terreno sul quale difficilmente si potrà seminare nuovamente. Aggiungo che il “mors tua vita mea” si può trasformare velocemente in “mors tua mors mea” e viceversa. Una persona consumata prosciugherà anche le persone che le stanno accanto, così come una persona in salute ed equilibrio potrà influenzare positivamente chi le sta attorno.

Credo che il rispetto sia uno dei valori a cui tengo di più assieme alla libertà, entrambi fortemente correlati tra loro. Il rispetto non è solo verso gli altri, ma in primis verso sè stessi. Questo presuppone la conoscenza e la consapevolezza di quali siano le nostre reali esigenze, alcune comuni a tutti, altre estremamente personali perchè connesse al carattere e alla natura individuale della persona. Ognuno di noi nasce con un patrimonio genetico, fisico e spirituale da lasciar fiorire e mettere a disposizione dell’universo. Per poterlo far rigogliare deve essere per prima cosa rispettato. Così come le fragole non crescono in un terreno pietroso allo stesso modo una stella alpina non nasce sulla riva di un mare. Volere stelle alpine ovunque e in ogni stagione sarebbe chiedere al pianeta uno sforzo inaudito oltre a snaturarlo totalmente. Questo è esattamente ciò che facciamo chiedendoci di essere sempre al “Top”.

L’atleta riposa dopo una competizione e non gareggia 7/7, 24/24. L’attore si trucca per lo spettacolo, ma poi si toglie il costume e lo lascia in camerino perché ha bisogno di tornare ad essere sè stesso. I ragazzi vanno educati all’allenamento, all’autodisciplina, all’ambizione del miglioramento, ma non vanno spinti alla perfezione costante e sempre maggiore. Insegnar loro ad ascoltarsi, comprendere cosa li fa vibrare, apprezzare gli sforzi per raggiungere un obiettivo che si pongono e, una volta raggiunto, godere del risultato così come hanno goduto del cammino per raggiungerlo, è cosa sana e giusta. Insegnar loro a comprendere i propri limiti e spostarli con pazienza è insegnar loro il rispetto. Godere del riposo è godere del lavoro e viceversa, accettare la sconfitta è apprezzare il cammino, mostrarsi spettinati è dire la verità, apprezzare il “normale” è rendere speciale ogni giorno.