
Viviamo in un’epoca in cui la “ricerca di sè” sta prendendo sempre più piede, almeno anche solo come dicitura. Vuoi perchè c’è molta insoddisfazione, vuoi perchè le richieste sono sempre molto elevate, molto più delle possibilità di espletarle, o forse perchè a partire dalla giovane età non viene insegnato ad ascoltarsi e non viene stimolata la scoperta dei propri talenti, ma piuttosto si cerca di creare dei soldatini performanti, tutti dedicati alla ricerca della perfezione. Si arriva ad un punto in cui il vestito che portiamo ci sta troppo stretto e comincia a tirare esageratamente e l’unica soluzione è spogliarsi e capire quale abito faccia davvero per noi.
La “ricerca di sè” viene attuata in molti modi, tutti efficaci se portano all’obiettivo, c’è chi pratica lo yoga, chi la mindfulness, la meditazione, chi parte in solitaria per un cammino, chi ancora lascia tutto per ricominciare in un altro luogo sperando di lasciare indietro i pesi superflui. Ognuno trova la propria maniera, ma il problema nasce quando si ritrova la propria essenza, quella parte di noi che avevamo dimenticato, quel pezzo di noi che nessuno conosce perchè l’abbiamo lasciato sopito o nascosto. Cosa succede se, un giorno, l’immagine che trovi riflessa allo specchio non rappresenta più ciò che tutti, attorno a te, si sono creati nel tempo rispetto a te?

La prima domanda da porsi è se quell’immagine è solo fantasia della nostra mente o se è reale, se ciò che immaginiamo gli altri vedano di noi sia solo una proiezione di ciò che noi abbiamo voluto vedere. Non avremo mai risposta definitiva, perchè ognuno ha una percezione ed un’immagine di noi in base al contesto, il tempo e il luogo in cui ci ha vissuti.
La seconda domanda è: “Posso tornare indietro?”
Quando ebbi una forte crisi depressiva che mi costò matrimonio, lavoro, amicizie e salute, la terapeuta di allora mi disse: “Hai guardato con un’occhio finora, ora ne hai due. Puoi scegliere se chiudere il nuovo occhio e continuare come prima, ma sappi che ricorderai sempre ciò che hai visto con due.” La scelta stava a me, ma in realtà la scelta non c’era. Anche avessi scelto di togliermi il nuovo occhio, il cambiamento era già in atto e io non sarei più stata quella di prima.
La “ricerca di sè” a mio modesto parere è una riconnessione con la propria natura, l’abbandono degli orpelli che abbiamo messo addosso per assomigliare ad un modello, la presa di coscienza della semplicità che ci denota, l’allineamento di energia tra corpo e anima, il ritrovare le nostre peculiarità prima che fossero viziate da cambiamenti dovuti ad adattamento al mondo esterno per soddisfare quello che tutti definiscono “normalità”, “aspettativa”, “successo”, “credibilità”.

A proposito di questo ultimo termine mi sento di spendere qualche parola in più. La credibilità al giorno d’oggi è data malauguratamente spesso dal numero di persone che guardano ciò che facciamo e lo apprezzano con un like o dalla quantità di denaro che le nostre azioni producono. Ma è davvero questa la credibilità? Io credo che una persona credibile sia una persona che rappresenta in tutto e per tutto sè stessa, le proprie esperienze, la propria professionalità se si parla di lavoro, i propri principi se si parla di relazioni, senza per forza dover dimostrare quanto tutto ciò sia ricompensato in termini di denaro, appeal o followers.
Ritrovare una parte di sè dimenticata provoca spesso due reazioni opposte. Una è una sensazione di pace e coerenza estremamente piacevoli, l’altra è spesso una forte dissonanza con quello che si è vissuto fino a quell’istante. Come ritrovare un vecchio oggetto dentro al cassetto riporta ad un ricordo del passato, così quella parte di noi riaffiorata sembra decontestualizzata dal momento che viviamo. La differenza è che l’oggetto possiamo rimetterlo nel cassetto, noi no. Quella parte si riaggancia direttamente a noi e non possiamo più ignorarla.

Trovo ciò estremamente stimolante e al tempo stesso limitatamente ridicolo. Può essere che noi possiamo creare problemi a noi stessi? È quasi contro natura! Eppure è cosi, malauguratamente spesso, l’immagine che vediamo riflessa negli altri è più importante di ciò che sentiamo dentro, sovente modifichiamo i nostri comportamenti per “piacere”, sentirci apprezzati, essere valutati all’altezza, giusti, normali.
Il problema è che questa dissonanza che sentiamo dentro crea squilibri che, col tempo, si manifestano anche in squilibri fisici ed organici, per trasformarsi poi, se reiterati, in patologie fisiche e psichiche, ma lì spesso, è troppo tardi.

La ricerca di sè è sempre positiva, a mio parere, ma bisogna imparare a gestire ciò che troviamo, e, la soluzione, non è insabbiarlo perchè non sappiamo come verrebbe accolto dal mondo esterno. La libertà di essere, la libertà di esprimersi, la libertà di comunicare dovrebbe essere un valore imprescindibile dell’essere umano. L’ascolto, l’accoglienza, l’accettazione, l’esaltazione dei talenti, quella dovrebbe essere la missione di chi si relaziona con gli altri esseri umani.
Talvolta non è facile accettare chi siamo, ma è più difficile nasconderlo e cercare di essere chi non siamo. Dicono che “chi trova un amico, trova un tesoro”, credo che quell’amico, in primis, siamo noi, e se non impariamo ad amare il nostro tesoro, nessuno potrà farlo al posto nostro. Regala al mondo la tua parte più vera, solo così sarai realmente libero.
Lisa De Bernardini