
Cosa significa per noi sentirci “normali”? Nella continua ricerca di sentirci unici e irripetibili, apprezzati, amati, stimati, riconosciuti, speciali…c’è sempre una parte di noi che desidera essere “normale”. Viviamo in un’epoca in cui solo un’immagine assolutamente inedita è in grado di catturare la nostra attenzione nelle centinaia di immagini che “scrolliamo” ogni minuto alla ricerca di “non si sa cosa”. Vogliamo restare connessi per sentirci “normali” e allo stesso tempo desideriamo essere speciali per risultare apprezzabili.
Ho più spesso parlato del concetto di normalità come allineamento alla maggioranza e del concetto di “diversità” inteso come peculiarità con cui si nasce e che ci distingue dalla massa. Capita però, a volte, che il desiderio di essere “normali” e quindi assomigliare alla maggior parte delle persone nasca dalla difficoltà di accettare e integrare la nostra specialità.

Io sono una persona ipersensibile, reagisco spesso in maniera esagerata rispetto alla maggior parte delle persone che mi circondano, sento il dolore dove non mi compete, la delusione di comportamenti ritenuti da me ingiusti mi fa sprofondare in stati simil depressivi, lo stupore di fronte alle stelle cadenti e al cadere della neve mi riempie il cuore come lo farebbe un regalo estremamente costoso per altri e la paura di disturbare frena spesso le mie azioni al punto da limitare le mie scelte. Tutto ciò, visto da fuori, è guardato come un eccesso ingiustificato, un’incapacità di schermarmi di fronte alla realtà, un’esagerata reazione e una eccessiva presa in carico di pesi che non mi appartengono.
Mi è capitato spesso di desiderare di essere “normale”, come la maggior parte delle persone che mi circondano, quasi sentissi mi mancasse una struttura di supporto, ma mi sono sentita spesso impotente di fronte a me stessa, perchè andare contro natura è una delle cose più difficili da mettere in atto.
Lungo il cammino di Santiago, nel 2019, ho incontrato il mio attuale compagno, Henry, un ragazzo francese che camminava da solo e col quale ho condiviso interi giorni di marcia e di esperienze incredibili. Partendo la mattina molto presto, verso le 5h30, il sole non era ancora levato e il cielo era pieno di stelle. Era agosto e i miei occhi erano sempre alla ricerca di stelle cadenti. Capitò una mattina che ne vidi sei di fila, potrete immaginare la mia felicità, ero come una bambina che vedeva Babbo Natale. Lui ne vide solo una e non si emozionò particolarmente, ma rimase sorpreso dell’effetto che le stelle avevano su di me. In quel momento non mi sentii “diversa/sbagliata”, ma solo “diversa/unica”. Allo stesso tempo non pensai a lui come “sbagliato/normale”, ma come “diverso” da me, né normale, né speciale. Ritenni speciale la sua reazione nei miei confronti, era in grado di apprezzare un mio lato “diverso” e di farmelo vivere in maniera “normale”.

Vi racconto tutto ciò perchè credo che chi ci mettiamo accanto faccia molto la differenza sul nostro sentirci adeguati, giusti, accettati, apprezzati e quant’altro.
C’è un altro aspetto da prendere in considerazione. La nostra percezione di come gli altri ci guardano è spesso solo una proiezione personale di timori, giudizi, fantasie, credenze e pensieri annessi, ma spesso non corrisponde alla realtà. Quindi perchè sforzarsi di essere normali quando lo siamo già? Normali rispetto a chi? Normali rispetto a cosa? Allo stesso tempo perchè sforzarsi di essere speciali se lo siamo già? Speciali rispetto a chi? Speciali rispetto a cosa?
Non mi stancherò mai di ripetere che il tempo a disposizione, dalla nostra nascita in poi, dovrebbe essere dedicato alla scoperta dei nostri talenti e alla loro messa a disposizione al resto del mondo. L’ascolto personale e la sperimentazione consentono l’acquisizione della consapevolezza della nostra reale natura e delle nostre potenzialità, tutte diverse, uniche e speciali. Il giudizio dovrebbe essere lasciato da parte, utilizzato solo nei casi di reale discostamento da comportamenti socialmente accettabili e anche lì ritengo necessario soffermarsi sull’origine di determinati comportamenti, spesso generati da realtà causate da altrettanti atteggiamenti e giudizi inopportuni, ma questo è un altro argomento che preferisco trattare in un’altra occasione.

La famiglia, la scuola, gli insegnanti, gli allenatori, giocano un ruolo fondamentale nell’apprendimento delle capacità di ascolto ed espressione del sè, nell’insegnamento dell’accettazione e dell’integrazione di ogni nostro aspetto diverso nella totalità di una personalità varia e costituita da differenti colori, sfumature ed espressione di esse. “Normale” e “speciale” si integrano così nella stessa persona e la difficoltà di sentirsi necessariamente un po’ l’uno e un po’ l’altro svanisce nel nulla, lasciando posto ai benefici di approfittare di ogni sfaccettatura.
Non c’è quindi l’immagine speciale, ma l’immagine di te, ed essa è la cosa più speciale che puoi guardare.
Se hai mai desiderato sentirti “normale” e allo stesso tempo sofferto per la tua “specialità”, condividi la tua esperienza e aiuta a sensibilizzare sui possibili effetti negativi del giudizio stereotipato.
Lisa De Bernardini