Qual’è il modo giusto per reagire al lutto?

La vita ci mette presto a confronto con la morte, quasi un ossimoro, ma verità oggettiva. La morte è una parte che tendiamo a voler ignorare o dimenticare per la maggior parte dei nostri giorni, sperando in questo modo di tenerla lontana da noi, ma quando la dobbiamo affrontare, in maniera diretta o indiretta, siamo spesso impreparati. L’impreparazione è normale, come saper come reagire a qualcosa che non abbiamo mai vissuto? Eppure pensiamo di sapere come ci dovremmo comportare.

Nascita e morte sono parti integranti della vita umana, come gioia e dolore, bianco e nero, bello e brutto… tutte parti della stessa unità e inesistenti se non fosse presente la controparte. Tuttavia diamo alla nascita e alla morte due connotazioni estremamente diverse e così, di conseguenza, le reazioni delle persone ad entrambe sono diametralmente opposte. Avete mai visto qualcuno piangere all’annuncio dell’arrivo di un nuovo nato? O festeggiare la dipartita di un proprio caro? A parte rari casi estremi, è evidente che no, sembrerebbe assurdo oltre che oltraggioso.

La mia riflessione riguarda però il nostro vero sentito, quello che spesso non osiamo condividere con anima viva perché giudicato inopportuno, non adeguato alle aspettative, lontano dalla normalità, non idoneo alla situazione. Da madre vi posso assicurare che la nascita di un figlio è una gioia incommensurabile, ma allo stesso tempo un miscuglio di emozioni di tutte le sfumature. Da figlia vi potrei dire che la morte di mia madre è stata una cosa straziante, ma sarei falsa se vi dicessi che accanto alla tristezza non ho vissuto molte altre emozioni discordanti e i pensieri che mi sono balenati nella mente talvolta li ho ritenuti impronunciabili, a tal punto da vegognarmene.

Cercando delle immagini che riguardano la nascita posso assicurarvi che troverete solo immagini gioiose e viceversa se digitate “morte” come parola chiave della vostra ricerca. E’ così? Il bimbo che nasce non vive un momento felice, è piuttosto sconvolgente per lui lasciare il grembo materno. La persona malata che lascia il suo corpo è spesso stanca della sofferenza, forse per lei la morte può essere liberatoria. Allora noi siamo felici per un bimbo che soffre? Non credo. Forse siamo felici perchè il bimbo porterà gioia in una famiglia, perchè avremo un nipotino, perchè la vita si manifesta, o per tutti i motivi più validi del mondo, ma non dobbiamo dimenticare che per una gioia c’è un dolore, l’uno non esiste senza l’altro e quindi non ci sono né gioia e nemmeno dolore assoluti.

Credo che per ogni evento, felice o triste che sia, ci sia una parte di noi che reagisce realmente all’evento in maniera spontanea e naturale e un’altra parte che reagisce secondo copione, perchè, nella “normalità” l’evento dice che dovremmo sentirci in quel modo. Sono chiaramente copioni inconsapevoli, ma restano tali. Capita talvolta di sentirsi inadeguati rispetto al nostro “sentito” e di giudicarci sbagliati, insensibili, o, peggio ancora, di cattivo animo, ma nessuno tiene in considerazione che la mente viaggia su territori spesso inesplorati e talvolta invece predefiniti, mentre il cuore segue un flusso, che difende da momento, tempo, spazio, luogo ed esperienze. Abbiamo spesso dentro di noi molti mondi congelati che si presentano quando meno ce l’aspettiamo, esperienze del passato non comprese che bloccano l’evolversi nel presente in maniera fluida. Abbiamo poi un mondo preconfezionato di modi di essere riferiti a situazioni che applichiamo alla lettera, senza chiederci se realmente ci corrispondono. Infine subiamo costantemente un giudizio personale e altrui che ci è “utile” a definirci “buoni” o “cattivi”, “giusti” o “sbagliati” o quant’altro, ma poco tiene in considerazione la nostra vera natura e il nostro reale sentire.

Torno quindi a pormi questa domanda: “Qual’è il modo giusto per reagire al lutto?” Mi sorge immediatamente un’altra domanda: “C’è un modo giusto?” Giusto per chi?

E’ evidente che non c’è un modo corretto ed universale, ma cosa direste se vostro figlio vi comunicasse di sentirsi indifferente alla morte del padre? Sollevato, felice, collerico, apatico… quale sarebbe la reazione accettata come adeguata e quale farebbe pensare ad altro?

La realtà, a mio parere, è che le emozioni non si comandano, arrivano e basta, le sentiamo dentro, le percepiamo a livello fisico, ma non sempre le accettiamo in quanto tali e passeggere. Spesso le combattiamo e mettiamo emozione sopra emozione, impedendo alla prima arrivata di fluire, comparire, fare il suo corso e andarsene per lasciare spazio alla successiva. Tutto ciò comporta fatica, ma soprattutto implica che il giudizio dell’emozione obblighi a modificare il nostro comportamento per renderlo socialmente accettabile.

Vita e morte sono parti inseparabili dello stesso cammino, gioia e dolore lo sono altrettanto, nessuno può scegliere quando e se vivere l’una o l’altra. Termino, come sempre, sostenendo l’importanza dell’ascolto personale e altrui senza giudizio. Anche una cosa triste come il lutto può essere superato in maniera più naturale se si lasciano fluire tutte le emozioni che ci si presentano, senza rifuggirne alcuna. Farlo sarebbe come rifuggire una parte di noi che resterebbe congelata in un mondo che si presenterebbe ogni qualvolta un evento simile si ripresentasse e impedirebbe la naturale evoluzione della nostra individualità e la condivisione dei nostri talenti. E’ un talento essere felici o tristi? Non credo, ma lo è ascoltarsi e manifestarsi, comprendersi e comprendere, accettare le differenze e guardarle come specialità piuttosto che come difetti.

Non c’è quindi un modo giusto per reagire al lutto, ma c’è il lutto e ci siamo noi e tutto è reale e corretto.

Lisa De Bernardini

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