Sbagliati o diversi?

Col temine “sbagliato” riferito ad un individuo si presuppone un’opposizione al concetto di “persona giusta” e qui si apre chiaramente il dibattito di cosa sia “giusto” o “sbagliato” rispetto ad un essere umano. Partendo dal presupposto che si parli di un corpo fatto di due braccia, due gambe, annessi e connessi, è evidente che il giudizio nasce da una valutazione dei comportamenti, delle idee e delle inclinazioni dell’essere stesso. È raro, o dovrebbe esserlo, che qualcuno definisca “sbagliata” un’altra persona, molto meno che qualcuno si senta “sbagliato” agli occhi degli altri.

Cosa ci fa sentire sbagliati? Spesso non avere la stessa sensibilità, non avere gli stessi desideri, non reagire allo stesso modo allo stesso evento, porre l’attenzione su particolari che la maggior parte delle persone non considerano o addirittura non comprendere le regole silenziose della società, quelle non scritte nelle leggi, ma ugualmente applicate dalla maggioranza delle persone. Ci si sente sbagliati quando gli sguardi nei nostri confronti sono diversi da quelli verso chi ci sta accanto, quando il modo di parlarci cambia tono e diventa giudicante, quando viene rimarcata la nostra diversità rispetto alla maggioranza, quando non veniamo ascoltati per quello che abbiamo da dire, ma solo per quello che facciamo e ciò non corrisponde alle aspettative.

A 12 anni suonavo la chitarra e amavo passare il tempo seduta su un prato nascosto dalla strada a strimpellare e cantare canzoni del tempo. La maggior parte dei miei coetanei amava trovarsi in compagnia e giocare a giochi di società che perlopiù finivano per essere modalità di approccio all’altro sesso. Ero sbagliata o diversa? Nulla di tutto ciò, ero io e basta, e non c’era giusto o sbagliato, né in me e nemmeno nei miei coetanei che facevano cose diverse da me, il problema era la mia percezione, i commenti che ascoltavo o immaginavo, le facce, le conseguenze. Di certo i miei genitori erano ben contenti che mi esercitassi con uno strumento invece che pavoneggiarmi di fronte ai maschi, ma il problema non era né l’uno né l’altro. Non c’era una reale utilità in quello che facevo, mi faceva solo stare bene e basta. La società ha invece necessità di dare un valore ad ogni azione, e tale valore è assegnato a seconda di un’opportunità futura. Cosa mi può portare questo comportamento? È l’abitudine a giudicare le cose sotto un aspetto utilitaristico o addirittura economico che ci fa arrivare a definire “sbagliato” qualcuno. Si considera sempre il tangibile, molto meno lo spirito e l’anima. Mi ci vollero tanti anni per comprendere cosa mi corrispondesse davvero, chi era quella ragazzina che strimpellava da sola, comprendere che dietro quella chitarra in quel prato c’era solo la ricerca di assenza di confusione, il piacere della connessione con la Natura e con me stessa. Sono passata per il fallimento di non essere diventata una buona concertista, del non aver avuto sufficienti esperienze relazionali e quindi aver fallito un matrimonio, ad essermi detta che non ero fatta per stare in compagnia.Tutto errato. Avessi appreso ad ascoltarmi meglio senza giudicarmi giusta o sbagliata forse avrei intrapreso lo studio della naturopatia 20 anni prima e avrei scelto un compagno diverso che non colmava le mie mancanze “sbagliate”, ma semplicemente arricchiva la mia diversità, così come io avrei fatto con la sua.

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