Devo o voglio?

Mi imbatto quotidianamente in una quantità di “devo” soffocante. Incontro persone diverse tutti i giorni e adoro ascoltare le loro storie, le loro vite raccontate attraverso le loro emozioni. Con me non c’è bisogno di “essere” in qualche modo speciale e così spesso il fiume dello sfogo prende il largo e la verità personale viene a galla. Un po’ come un tesoro nascosto che emerge solo quando tutto il mare è prosciugato, e ritorna negli abissi una volta che l’acqua ricomincia a scorrere.

Sono cresciuta con un grandissimo giudice impietoso al mio fianco, quel giudice ha appreso da maestri più esperti di lui, ma, come spesso accade, l’allievo supera il maestro e così il mio giudice personale è diventato incredibilmente impietoso, tagliente e soprattutto molto pressante. Ogni volta che compio un’azione o devo prendere una decisione il mio giudice è pronto a incasellare tutto nel registro “giusto” o “sbagliato” e così, per lungo tempo, ho agito più per essere promossa che per Essere e basta.

Devo, devo, devo..il “devo” vince a mani basse con il “voglio”, e si scontra con il “faccio” in una battaglia all’ultimo sangue.

Il “devo” mi ha aiutato molto, se eseguivo il compito venivo inserita nel cassetto “giusto” e tutto tornava. Peccato che non fosse sufficiente.

Mi ci sono voluti un burn out, una schiena totalmente bloccata per 3 settimane, due attacchi di panico e 4.400 km percorsi a piedi in 3 anni per capire che il “devo” non poteva essere il solo verbo da ascoltare.

Il problema è che il “voglio” era una pagina vuota e io non sapevo cosa scriverci sopra. Appena accennavo a scrivere una lettera sul foglio bianco il giudice faceva capolino e io mi fermavo intimorita. Dimmi tu cosa devo fare -pensavo- io non so più come si fa.

Nessuno rispondeva, silenzio.

Sono rimasta ferma per un po’, ma anche lì il giudice mi diceva che non andava bene stare fermi, bisogna agire, bisogna produrre per essere riconosciuti, bisogna dire chi si È.

Arrivò la scelta: chi porto fuori? La stessa che esegue alla perfezione i “devo”, ma che è stata malissimo o quella che a malapena sa come le piace tenere i capelli, se lisci o ricci? Decisi per la strada più complicata.

Un giorno dopo l’altro ho cercato di scoprire cosa mi faceva davvero piacere, darmi un tempo per tenere il giudice a debita distanza, ascoltarmi e SBAGLIARE. L’errore e l’accettazione dell’errore sono stati due nemici difficili da combattere, ma un passo alla volta e con vicino delle belle persone ce l’ho quasi fatta. Dico quasi, perchè quando percorri una strada così tante volte da poterla percorrere ad occhi chiusi, ogni tanto, anche se ti impegni a percorrerne un’altra, ti ritrovi in angoli già visti e che riconosci appartenere al vecchio meccanismo. Talvolta il giudice mi si appoggia sulla spalla e tenta di alzare la voce. In quei casi mi fermo. Non faccio nulla. Aspetto. Respiro. Ascolto la vocina che sta nel profondo e le lascio il tempo di riemergere.

Un buon esercizio è quello di disegnare ogni giorno qualcosa, che sia una linea, una parola, un oggetto, un’idea, un colore e lasciare che si appoggi sul foglio. Quel segno siamo noi in quel giorno, non c’è bello o brutto. Col tempo il bloc notes si riempirà di pezzi di noi e alla fine può diventare il nostro “voglio”. Il quaderno non dovrebbe essere nascosto a nessuno, ma per iniziare penso sia meglio farlo in totale solitudine, per evitare di essere contaminati dalla reazione esterna. Il giudice è sempre in agguato!

Il mondo attorno fatica ad accettare che si possa Essere ciò che si vuole, tende piuttosto a imporre di identificarsi nelle due caselle “Giusto” o “Sbagliato”, e così se ti mostri per quello che sei e non riesci ad incasellarti ti senti un pesciolino piccolissimo in mezzo ad un mare di squali.

La buona notizia è che quel pesciolino può nuotare in tutte le direzioni, scegliere ogni giorno quale mare percorrere, fermarsi e ripartire. Talvolta è costretto a nascondersi per non essere mangiato dagli squali, ma tutto sommato la sua dimensione ridotta gli consente di non dare fastidio a molti e di non essere così appetibile per i più. È un po’ solo, ma, guardandosi bene attorno, incontra altri pesciolini come lui, tutti liberi di scegliere ogni giorno. E quando la rete del pescatore viene lanciata nel mare con proposte allettanti di futuri brillanti se solo ti trasformi in uno squalo, i buchi della rete sono sufficientemente piccoli per scivolare via e guardare da lontano ciò che succede senza perdere la propria identità.

Il nostro peggior giudice siamo noi stessi, i “devo” dovrebbero essere in equilibrio con i “voglio”, il tempo dovrebbe essere vissuto lentamente per consentirci di ascoltarci e ascoltare, le persone dovrebbero poter essere di tanti colori diversi e sentirsi giuste, tutti dovrebbero imparare a disegnare su un foglio bianco e nessuno dovrebbe dire all’altro che colore sia giusto usare.

Lisa De Bernardini